Il teatro Greco di Siracusa era rinomato fin dall’antichità: basti pensare al fatto che non solo è arrivato fino ad oggi il nome dell’architetto che lo costruì (Damocopo, detto Myrilla) ma che Eschilo vi rappresentò per la prima volta le Etnee (scritte in onore del tiranno Jerone I dopo la fondazione della città di Etna nel 476 a.C.) e “I Persiani”. Il suo aspetto attuale, che lo classifica fra i più grandi teatri del mondo greco, si deve al radicale rifacimento voluto da Jerone II nel III sec. a.C .
Nei secoli, tutte le parti costruite furono distrutte per ricavarne materiale da costruzione per le fortificazioni spagnole e, più tardi, per l’impianto di alcuni mulini ad acqua che nel XVI secolo furono istallati all’interno dell’orchestra, sulla cavea e nelle adiacenze, poi progressivamente demoliti nel corso delle lunghe operazioni di recupero e restauro del teatro, tra la fine del l’Ottocento e i primi decenni del Novecento.
Ciò che rimane della grandiosa mole del teatro antico è il nudo scheletro dell’edificio scavato nella roccia, che utilizza un pendio naturale sulle pendici meridionali dell’Epipoli: la parte media e inferiore della cavea (la parte superiore era in blocchi), l’orchestra e la parte basamentale dell’edificio scenico.
Si pensa che la perfetta acustica del teatro sia dovuta in parte alla vicinanza con l’Orecchio di Dioniso.